lunedì 29 dicembre 2014

Dio, l'uomo e il tempo


       Dio, l’uomo e il tempo

Oggi è sabato. Un giorno come tanti di un tempo indecifrabile. Ed io che aspetto impaziente quando Dio sta oziando, scruta indifferente e ascolta.

Giuseppe ha telefonato questa mattina verso le 10,00 per dirmi di essere rimasto a piedi col furgone a causa del filtro dell’olio stracarico di rifiuti. Quando ha chiamato si trovava presso un distributore di benzina per  sostituirlo con uno nuovo. A suo dire avrebbe tardato un'ora. Sarebbe dovuto arrivare alle 9 per sistemare delle mensole a muro nella camera piccola ora adibita a libreria. Sono le 11,30 e Giuseppe ancora non si vede. Anzi, non si sente: la sua voce rauca e grossolana è inconfondibile. Ho pensato che forse avrei fatto bene  a iniziare il lavoro senza di lui. 

Giuseppe, un uomo, un essere, un individuo, come me e come tanti altri, come i circa sette miliardi che calpestano questa Terra. Ognuno coi propri bisogni che sembrano essere proporzionati alla propria intelligenza. Tanto da pensare che l’uomo nudo col suo genio, non sia più dotato del bruto col suo istinto, se tutta la sua anima non fosse che intelligenza. Ma a questo essere pensante gli è stato donato qualcosa di più, ha ricevuto un cuore per sentire il dolore e la gioia, e soprattutto per amare. Tuttavia quel cuore non l’ha reso più felice. Dopo ammirevoli e innumerevoli sforzi egli ha trovato il benessere e si è stupito che non fosse la felicità. Così cerca e ancora cerca, e interroga il cielo battendosi la fronte. Non pensa che il cuore  è la fonte di tutti i desideri che vorrebbe soddisfare con lo spirito, e che questo non è infinito nelle sue facoltà come il cuore lo è nei desideri: - ah uomo, tu sei tanto pronto a dimenticare quanto sei ardente a desiderare. Non provi che il piacere, una particella di felicità, quando raggiungi lo scopo delle tue ricerche: la tua scoperta ti procura dapprima un bene, un piacere che ben presto si trasforma in bisogno, e subito ti rendi conto di non essere più felice per il possesso del nuovo bene, ma altrettanto ti rendi conto che saresti infelice se ne perdessi il possesso. 
Ah uomo, non sei che un granello di sabbia fra innumerevoli, della vasta duna della tua impossibile decifrazione esistenziale.-

Forse è meglio tornare alle mensole e al loro montaggio. Devo far presto. Una commissione pomeridiana mi attende. A volte si vorrebbe fare tutto e subito, dimenticando di fare i conti col tempo. Già, il tempo. Un termine inflazionato, trito e ritrito in ogni sua forma e sostanza.   Oggi l’uomo ha raggiunto vette elevate di conoscenza grazie alle scienze, soprattutto della matematica; scienze che gli hanno permesso di dare una fisionomia circostanziata e precisa del mondo che lo circonda e di condurlo alla soluzione di tanti problemi esistenziali. Ma, alla domanda, “che cosa è il tempo?”, egli non ha trovato ancora una risposta accettabile. Condivisibile. Per lo meno discutibile sul piano metafisico.
E quando non si hanno risposte accettabili, significa che la domanda sbraccia in acque di un mare incomprensibile, insondabile. Infatti, le scienze empiriche e teoriche, pongono il problema del tempo usando per lo più la matematica che poco ha da spartire con l’essenza indecifrabile del tempo stesso. 
Che cosa è dunque questo Tempo equitario che fin dal primo respiro universale ha concorso alla determinazione del conoscibile umano? Noi specie pensante, questo ente inalienabile e inviolabile che si svolge in una sola direzione, lo percepiamo osservando i mutamenti tangibili della materia, di qualsivoglia forma o natura. Osservando un qualsiasi oggetto posto in un preciso punto dello spazio-tempo e lasciato a se medesimo, esso si mostra sostanzialmente mutevole nell'aspetto e nella forma col trascorrere degli istanti. E non è rilevante quanto questi siano. 
Le mutazioni che avvengono dentro e fuori l’oggetto, non influenzano il sopraggiungere degli istanti che muoiono uno dopo l’altro. Ecco allora, che cercare una plausibile definizione del tempo, sia terrestre sia universale, diventa un'impresa ardua, titanica. 
E se un giorno l'uomo arrivasse a dimostrare, anche una sola velata fisionomia scientificamente accettabile a livello teorico  ed empirico di questo ente illimitato, mai giungerebbe a decifrarne la sua natura. 
Alcuni dotti pensatori, speculatori mentali, strizzacervelli scientifici, così li chiamo io, si sono spremuti il cervello per trovare un concreto spiraglio dove ancorare  la questione del Tempo, ma il certo difficilmente nuota nell’incerto. E quando l’infinito mostra da qualche parte un lembo della sua veste, getta sul problema la sua ombra immensa, così si brancola ed è fatica perduta.   
Ora, se l'uomo è fallace, non infallibile, perché la matematica da lui creata dovrebbe esserlo? Questa domanda trova la sua esplicazione in un semplice paradigma: nel linguaggio verbale, in relazione ai termini di, assegnazione-distinzione soggetto-oggetto, se l’uomo avesse scambiato i termini appellando il tre uno, o il due tre, ecc ecc,  nulla sarebbe cambiato, né alla materia, né alla forma, né alla sua essenza. Tempo compreso. Sembra che ciò che chiamiamo tempo abbia nella sua istanza inafferrabile, del sovrannaturale. Nel senso che, il nostro scibile pare non sia  ancora sufficientemente vasto per formulare una concreta e coerente definizione su di esso, valida a tacitare possibili opposizioni o contrasti. E quando l'uomo si trova difronte a problemi senza soluzione alcuna, pone la questione sotto l'aspetto ontologico ed escatologico, definendola e collocandola entro i confini di un possibile divino: primo gradino dell'infinita scala che ha condotto il pensiero razionale ad auto plagiarsi con l’ausilio di dottrine mistico-religiose. Insomma, quando l’uomo, con la sua limitata  e ostinata intelligenza non ha risposte da dare, si rifugia in ciò che al suo scibile è inconcepibile, dando a quest’ultimo la forma di un divino  inspiegabile, irraggiungibile. E qui cade nella contraddizione più elementare, preferisce chiamare Dio un ente inconoscibile idolatrandolo in ogni aspetto e forma, relegando il Tempo a mero fenomeno fisico, quando invece non si discosta affatto dal suo Dio sconosciuto. 
Dio e il Tempo. Due enti dall'identità esoterica nella loro essenza e natura al razionale umano. Ma mentre uno non è concepibile studiarlo o avvicinarlo con la matematica, l'altro invece concede larghe possibilità a trecentosessanta gradi. Così, i magistrum spirituali che reggono le redini di un credo, sono refrattari e ostili alle scienze, quando nulla possono contro l'inesorabilità temporale. 
Ecco qui, il piatto è servito: l'uomo di potere mistico-religioso, nella sua piccola grandezza, volge il pensiero all'ente divino cui può trarre benefici politico-sociali:  in primis di dominio, con l’imposizione del più forte sul più debole, sul piano fisico, materiale e psichico. Quella sulla regione psichica è un’imposizione subdola e ipocrita, attuata con metodica pianificazione certosina, scientifica per precisione temporale, tanto da lasciare tracce indelebili nelle menti condizionate fin dalla tenera età. 
Questo non avviene in ogni parte del mondo. Ma in ogni parte del mondo l'uomo querela se stesso e la sua stupidità: tutti gli individui di potere mistico o di alto rango religioso, sanno che la causa ontologica, la causa prima, è soltanto una, ma non spiegano  mai perché poi tutti ne divergano. Una mera stupidità non controvertibile, poiché il Tempo lascia un lembo alla scienza, o meglio alle scienze, senza subire il fascino di una coercizione su larga scala. 
Luogo comune: Dio è eterno. Ma se lo è Dio, è impossibile negare che non lo sia anche il Tempo. E la fisica teorica ci insegna che l'eternità è relativa. Allora qualche interrogazione viene istintiva: “Che cosa avverrà di Dio quando l'uomo cesserà di esistere e coesistere? Ovvero quando l’uomo sparirà come specie dissolvendosi in polvere?” Perché, il Tempo prima o poi lo dimostrerà. Lo ha già messo in preventivo, lo ha  impresso nel libro del suo divenire. E la scienza pure, ha già sentenziato con simboli numerici quando il sole cesserà di bruciare. E quando finirà il suo processo vitale, finirà anche l'uomo e con esso tutte le religioni conosciute. Ecco perché le dottrine mistiche non vedono di buon occhio le scienze. Ma tutto questo non ha senso spiegarlo alle masse di fedeli che pregano un Dio, per il semplice fatto che posseggono una fede. Ed è su questa che i primi maestri politici, i vecchi padri religiosi, hanno puntato il dito del proselitismo: in prima istanza lo hanno puntato verso la debolezza raziocinante e psicologica degli esseri socialmente più disagiati. Poi via via col passare del tempo le religioni si sono strutturate in una piramide di classi dirigenziali le quali hanno iniziato un processo dogmatico, sincrono e infallibile. Una iniziazione guidata con voce autoritaria e severa, diretta verso il substrato psichico più consono alla sua virale dottrina: la fertile e innocente sfera infantile. Una lenta e precisa  campagna di mero plagio su larga scala, dalle classi socialmente più deboli a quelle più intellettualmente ed economicamente più forti. Un processo per quanto cauto per quanto violento, quello di  inculcare dogmi su dogmi nel terreno acerbo e impreparato di  menti duttili e praticamente vergini. Un processo che non sarebbe stato certamente possibile attuarlo verso l'ente universale chiamato ‘Tempo’. 
Così un'altra semplice domanda viene lecita: “che ne sarebbe del tempo senza l’uomo?" E di conseguenza, “che ne sarebbe di Dio senza l’uomo?”
La risposta double face, la quale risponde senza il  minimo ragionevole dubbio è, che all’esistere dell'uomo sono indispensabili entrambi gli enti, quando questi dell'esistenza dell'uomo, possono anche farne a meno. E se per la matematica terrena, due più due fa quattro, per Dio e per il Tempo, uno più uno potrebbe anche non essere due, ma semplicemente zero o nulla o tutto. Insomma, non è eretico dire  che non vi è alcuna differenza fra la terra e la luna, perché altrettanto non è eretico affermare che è sempre l'uomo a farla. E se per l’uomo vale la tesi che la matematica non è un'opinione, altrettanto allora egli può affermare che Dio non è un assioma. Quando e quanto invece lo è il Tempo, scienza o non scienza. 
E per le misere condizioni dell'uomo, con tutte le facoltà che dispone, convincersi che d'ogni verità anche il contrario è vero, è un plausibile e accettabile postulato: una moneta con due effigi diverse ma uguali. E se l'uomo può convincersi di tutto e di più, fino a idolatrare un Dio, non può farlo col Tempo, vero assioma e mistero, vero flato dell’universo.

Dio è una creazione di una mente ingannevole, limitata, caduca ed effimera, quando il Tempo invece è una processo essenzialmente illimitato e di per sé trascendentale che va oltre lo scibile dell’uomo.



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